giovedì 19 luglio 2012

Lettera aperta alle Autorità

Grazie all'interessamento del sen. Marco Perduca, che ha promosso l'incontro, mercoledì 30 maggio 2012 la famiglia di Enrico “Chico” Forti, rappresentata dagli zii Gianni e Wilma, è stata ricevuta al Ministero degli Esteri dal Ministro Plenipotenziario Francesco Saverio Nisio, Direttore Centrale per i Servizi agli Italiani all’Estero.

La famiglia era accompagnata dal giudice prof. Ferdinando Imposimato (avvocato italiano di Chico Forti) e dalla dott.ssa Roberta Bruzzone, redattrice di un report dove si evidenziano tutte le gravi anomalie che hanno impedito a Enrico Forti di dimostrare la sua innocenza e privato del suo diritto ad avere un giusto processo negli Usa.

Il sen. Perduca ha introdotto le motivazioni dell'incontro, spiegando le ragioni che hanno indotto la famiglia di Enrico Forti a chiedere l'aiuto delle istituzioni diplomatiche italiane competenti dopo un lunghissimo e inutile percorso legale in Florida, che ha visto irrimediabilmente precluso ogni tentativo di ottenere la revisione del processo, al termine del quale Chico è stato condannato all'ergastolo senza sconti.

Il prof. Imposimato ha fatto un'ampia disamina del caso facendo rilevare tutte le procedure sbagliate, i vizi procedurali e le evidenti violazioni del patto internazionale sui diritti civili e politici relativi al caso di Chico, prima, durante e dopo il processo.

La dott.ssa Bruzzone ha ampiamente sviscerato la questione, illustrando i punti controversi del caso, le prove indiziarie e circostanziali inesistenti, oltre alle nuove prove a discarico emerse dallo studio degli atti del processo, contenute in modo preciso e circostanziato nel suo report che si intendeva presentare ufficialmente.

Il Ministro Nisio, dopo aver ascoltato molto attentamente tutte le ragioni esposte, ha detto gentilmente, ma molto chiaramente, che il Ministero degli Esteri è tecnicamente impossibilitato ad intervenire presso le autorità politiche americane perché la procedura diplomatica non lo prevede.

Il Ministro ha affermato che l'unica via da seguire è quella di incaricare nuovamente uno studio legale americano e inoltrare una istanza di riapertura del processo per la revisione dello stesso. Solo durante questa nuova e ulteriore azione forense, il Ministero potrà affiancare all'iniziativa il supporto del Consolato Italiano di Miami.

Questa, ha sottolineato il Ministro, è l'unica strada percorribile e non ci sono alternative.

Gianni Forti ha fatto notare che nei dodici anni ormai trascorsi dalla pronuncia del verdetto di condanna, sono stati fatti tutti i tentativi legali possibili per cercare di ottenere la revisione del processo, ma che le petizioni in appello sono state rifiutate senza motivazione e senza discussione.

La dott.ssa Bruzzone ha ribadito che la ricerca effettuata e riportata nella sua relazione è iniziata dopo che la Corte Federale americana, ultimo grado di giudizio consultato, ha rifiutato di prendere in considerazione il caso per scadenza dei termini. Un lavoro che ha comportato un notevole impiego di tempo ed energie, con l'unico obiettivo di dimostrare alle autorità italiane che un suo cittadino non ha avuto un giusto processo all'estero.

Il Ministro Nisio ha ribadito che purtroppo il report non ha alcun valore tecnico a livello istituzionale e che quindi non può essere protocollato dal Ministero. Pur comprendendo e condividendo tutte le ragioni in esso contenute, un'azione diplomatica basata sullo stesso non avrebbe alcuna possibilità di successo oltre che essere considerata un'interferenza negli affari interni di un altro Paese.

Pertanto l'unica possibilità rimane solo quella di riprendere dall'inizio il percorso forense.

Gianni Forti, ringraziando il Ministro Nisio per la sua disponibilità e attenzione, ha ricordato che la famiglia non è più in grado di affrontare le esorbitanti spese legali che questo tipo di iter prevede, oltretutto senza alcuna garanzia di poter arrivare alla Corte Suprema non essendo in possesso di una motivazione scritta del rifiuto della revisione.

Inoltre ha fatto presente che i tempi per intraprendere questa nuova iniziativa legale sarebbero inevitabilmente lunghissimi, traducendosi in altri anni di angosciosa attesa non più sopportabile sia psicologicamente che fisicamente da Enrico Forti.

La famiglia poneva molte speranze su questo incontro ormai atteso da anni, anche perché il precedente Ministro degli Esteri Franco Frattini, aveva scritto chiaramente sul suo “Diario Quotidiano” quanto segue: “L'unica possibilità che abbiamo - e che suggerisco anche a voi amici e supporter di Chico Forti – è quella di verificare se sussistano nuovi elementi a discarico non emersi e non considerati nella fase del giudizio, elementi che potranno riaprire il caso, valutare nuove prove ed accertare la sua responsabilità o meno. Un Ministro degli Esteri non deve smettere mai di dare speranze a un suo connazionale, e io ho anche la certezza e la prova che la Farnesina e la sua rete non hanno mai smesso di seguire e lavorare per la causa di Chico” (6 ottobre 2011).

Il report della dott.ssa Bruzzone ha seguito esattamente il suggerimento del Ministro Frattini.

“Ora Lei, dott. Nisio – ha detto Gianni Forti – ci dice che le cose non stanno così. Che il rapporto preparato non può essere protocollato dal Ministero perché non ha alcun valore diplomatico. Che bisogna intraprendere una nuova azione legale e solo in quella fase il Ministero può fornire il suo apporto. Forse non abbiamo compreso perfettamente il suggerimento del Ministro Frattini oppure le cose sono cambiate nel frattempo”.

In pratica il Ministro Nisio ha detto che la famiglia deve provvedere ancora autonomamente al prosieguo della causa presso le istituzioni americane, avvalendosi nuovamente di legali americani, nonostante le cocenti delusioni finora patite, correndo quindi il rischio di ritrovarci di nuovo al punto di partenza.

Gianni Forti ha ringraziato ancora una volta il Ministro Nisio promettendo di seguire nel limite del possibile i suoi suggerimenti, anche se la famiglia non vede come può farcela da sola. Sperando, ovviamente, che quando si arriverà (e se si arriverà) al “dunque”, un altro Ministro, che certamente sarà subentrato nel frattempo data la lunghezza dei tempi, non ci dica che bisogna agire in una maniera ancora diversa perché nel frattempo la procedura è cambiata.

La famiglia, forse ingenuamente, si aspettava un risultato un po' diverso da questo incontro nel quale aveva riposto tante speranze, se non altro per mantenere viva la piccola fiammella di speranza che farebbe sopravvivere Chico Forti in attesa del giorno in cui gli verrà concessa la possibilità di dimostrare la sua innocenza.




IL NON SERVIZIO PER GLI ITALIANIA ALL'ESTERO | LETTERA APERTA GIUGNO 2012
Istituzionalmente in Italia c'è un ufficio tecnico per ogni problema dei cittadini. Anzi pare che ci siano più uffici che problemi, anche se il vero problema è quello di arrivare all'ufficio che dovrebbe aiutarti a risolverlo.

Naturalmente c'è anche l'ufficio che si occupa degli italiani all'estero, che opera all'interno del Ministero degli Esteri.

Il problema che si vorrebbe portare all'attenzione del direttore di questo ufficio è grosso: si tratta di perorare la causa di un italiano ingiustamente recluso negli Stati Uniti, condannato a rimanere in carcere per tutta la vita nonostante si possa dimostrare la sua innocenza se solo se ne avesse la possibilità.

E' imprigionato ormai da dodici anni e tutte le petizioni di appello per la revisione del processo sono state respinte sena motivazione. La giustizia americana ha chiuso definitivamente il caso e non ha la minima intenzione di riaprirlo.

Grazie all'interessamento di un amico senatore, la famiglia riesce ad arrivare al cospetto del direttore del Dipartimento Servizi agli Italiani all'Estero, accompagnata dai legali italiani del recluso.

L'ufficio è ordinato, moderatamente lussuoso, l'ospite squisito, il segretario efficiente, Lui ascolta attentamente, prende nota mentalmente, assicura che il suo ufficio porrà la massima attenzione al problema.

Sul tavolo ci sono i documenti che comprovano l'ingiusto processo e l'ingiusta condanna dell'italiano.

Il direttore si dichiara personalmente molto dispiaciuto, ma purtroppo il suo Dipartimento non può intervenire nella questione perché diplomaticamente sarebbe considerata un'interferenza negli affari di un altro Paese.

Ogni protesta sarebbe inevitabilmente rimandata al mittente con disprezzo.

Bisogna ritornare negli Stati Uniti e rivolgersi ad uno studio legale abilitato che inoltri un'altra istanza di revisione. Il nuovo iter può comportare altri anni di angosciosa attesa e comportare spese enormi non più sopportabili dalla famiglia.

La situazione è chiara, le difficoltà sono gigantesche ma non c'è alternativa, questa è l'unica strada da seguire. Il Ministero seguirà con attenzione il nuovo percorso forense, ma il suo apporto potrà essere solo esterno. Non può essere coinvolto direttamente.

I documenti restano sul tavolo. L'impressione della famiglia e dei legali è quella di aver sbagliato ufficio. Forse non è il “Servizio italiani all'Estero”.

Come fai a capire se sei di fronte a un ufficio reale o di rappresentanza?

Quello dell'ufficio di rappresentanza non lascia nessuna traccia concreta dell'incontro. Non ti dà un appuntamento per approfondire e sviscerare il problema, non ti dà neanche il cellulare del segretario efficiente, non ti indica se ci sono altre persone precise a cui rivolgerti.

Perché si agisce così?

Semplicemene perché si segue la regola aurea del politico, molto partecipe ai casi di risonanza mondiale, tipo il sequestro dei “marò” in India, ma dimentica quelli che possono creare soltanto grane burocratiche fastidiose. Anche se si tratta di un caso umanitario.

Lo schermo diplomatico è una buona scusa per rendersi irreperibili, a meno che non ci sia un ritorno mediatico.

Alla faccia del Servizio agli Italiani all'Estero!



Per un intervento dello Stato in difesa di Enrico "Chico" Forti
Chi è Chico Forti? Chico Forti è un nostro connazionale che da 12 anni si trova in carcere a Miami condannato all’ergastolo, accusato di un omicidio che non ha commesso. È stato condannato in base a un processo che non può chiamarsi tale, in quanto si è trattato di un processo indiziario (senza prove!) e basato su un movente dal quale lo stesso Forti era stato assolto mesi prima da un altro tribunale.
Senza voler rifare qui il processo, il particolare è importante, poiché proprio l'apparente assenza di movente, unito anche al fatto che la stessa accusa riconosce che Forti non può aver ucciso materialmente, in qualsiasi Stato moderno ove vigono principi di civiltà giuridica, si impone un accertamento ancora più rigoroso delle prove a carico dell'accusato.
Questo accertamento pare invece essersi limitato alla bugia detta dal Forti nell'immediatezza della sua convocazione avanti gli organi di Polizia giudiziaria nel negare di aver conosciuto e incontrato il soggetto poi deceduto e ritrovato morto il giorno dopo detto incontro.
Se, a mente fredda, la circostanza della bugia può apparire strana o non giustificare del tutto il comportamento del Forti (non è questo il luogo per cercare di spiegare in base a quale pressione psicologica e quale particolare situazione si sia trovato il Forti presso la stazione di Polizia giudiziaria in cui è stato interrogato), certo è che, sulla base di solo detto elemento, in qualsiasi altro Paese moderno il processo non sarebbe probabilmente arrivato nemmeno alla fase dibattimentale.
Altra anomalia del processo è che risulta un conflitto di interessi, giuridicamente sanzionato dallo Stato della Florida, secondo cui il legale di Forti aveva contemporaneamente assunto l'incarico di Pubblico Ministero in altro processo, rappresentando dunque lo Stato della Florida. Ciò non è possibile, a meno che l'assistito non dia esplicito assenso scritto al difensore. Il legale sostiene che detto assenso scritto ci fu, ma l'originale di detta scrittura non risulta sia mai stato esibito in processo.
Un'ulteriore, ancor più grave, anomalia è quella secondo cui Forti, da quasi dodici anni (la condanna all'ergastolo è stata sanzionata ormai nel 2000), impegnato in plurimi tentativi di appello, rifacimento del processo e quant'altro, gli è stata sempre negata la possibilità di dimostrare la sua innocenza addirittura senza obbligo di motivazione.
In tutti gli Stati moderni, e senza dover scomodare la Dichiarazione universale dei Diritti dell'Uomo, l'imputato ha diritto, se non a tre, ad almeno due gradi di giudizio. Non solo, ma ha altresì diritto a che il diniego sia giudicato da un giudice superiore in grado del precedente (così traducendosi il diniego finora dato con una sostanziale conferma della condanna di primo grado) e risulti motivato in fatto ed in diritto, non potendo lasciare al semplice arbitrio di chi amministra la giustizia potersi limitare ad un semplice no al rifacimento del processo o al riesame dello stesso, non specificando i motivi per cui le osservazioni, i ragionamenti e le argomentazioni portate dalla difesa dell'imputato siano state non solo ritenute infondate, ma (si sospetta) addirittura nemmeno esaminate.
Inoltre, ad Enrico Forti furono anche negati i diritti previsti dalla Convenzione di Vienna. Infatti i Paesi firmatari di questa convenzione garantiscono l'immediata assistenza legale in caso di arresto di un loro cittadino in uno Stato diverso dal proprio. E' prevista anche l'automatica e simultanea comunicazione alle Autorità Consolari del cittadino stesso.
Il Consolato Italiano, invece, venne a conoscenza del fatto, in modo casuale, soltanto nove giorni dopo il primo arresto di Chico Forti.
Queste sono, succintamente, le maggiori anomalie che ci fanno ritenere, nel caso di Chico Forti, essere stato lo stesso privato dei principi fondamentali di difesa e di civiltà giuridica, specialmente in uno Stato facente parte di una Federazione quale quella degli Stati Uniti ove l'individuo è posto al centro della comunità e ove le sue libertà inviolabili (almeno a parole) dovrebbero essere fortemente tutelate.
Non appare fuori di luogo ricordare il famoso principio di cui tanto si riempiono la bocca le Corti americane del non poter condannare alcuno senza prima aver fugato "ogni ragionevole dubbio" sulla propria innocenza o estraneità ai fatti.
Ogni grado di giudizio superiore e’ stato negato a Forti e cosa molto importante senza nessuna spiegazione, in modo tale che senza questa giustificazione non si possa chiedere nessun appello!
Chico Forti non chiede pietà, non chiede nessuna grazia, chiede solo che possa essere giudicato sulla base dei fatti, sulla base di prove, in poche parole vuole solo avere un processo giusto.
Inutile dire che Chico Forti in questi 12 anni ha perso tutto, la famiglia, i suoi tre amati figli, tutti i suoi averi per pagare le ingenti spese di avvocati.
Soprattutto , però, Chico Forti ha perso la sua libertà, ha perso la sua vita in base a un processo che viene ritenuto totalmente irregolare.Per tutto questo noi amici di Chico e membri del gruppo a sostegno di Chico su Facebook (ormai molte decine di migliaia), chiediamo allo Stato italiano che, dopo dodici anni di totale indifferenza, inoltri un forte intervento presso la Casa Bianca, affinchè questo nostro connazionale possa venire giudicato con tutto il rispetto della legge.Per concludere, la richiesta della revisione del processo di Chico Forti è basata su un’ampia documentazione probatoria che può dimostrare la sua totale innocenza. Siamo fiduciosi che lo Stato italiano appoggi, come dovrebbe e come avrebbe dovuto fare in questi dieci anni, la causa di questo suo “figlio”, e diciamo figlio non a caso, dato che ogni nostro
connazionale dovrebbe essere difeso come tale dallo Stato italiano. Si dimostri all’Italia intera che un cittadino italiano può contare sull’appoggio del proprio Stato quando rimane vittima di una grave ingiustizia all’estero.

Nessun commento:

Posta un commento

Ogni commento ritenuto inopportuno offensivo e diffamatorio nei confronti di Chico Forti e dei fondatori del blog, verrà eliminato senza alcun preavviso e il suo autore bloccato .