13 maggio 2012
10° LETTERA AGLI AMICI
DEDICATO ALLE “MIE” DONNE NEL GIORNO DELLA FESTA DELLA
MAMMA
Amo le donne, le amo per la loro
sensibilità, per la loro dedizione, per la loro perspicacia, per la loro
intuizione, per la loro combattività, per la loro territorialità e, per essere
sincero, per la loro bellezza.
Ogni donna è bella. Spero non lo
abbia detto qualche poeta prima di me, a mia insaputa, preferisco essere
originale. La vita di un uomo ruota intorno ad una donna come la terra intorno
al sole. La donna è come la luce nel processo di fotosintesi, senza di lei non
c'è vita. Per quanto forte e imponente ancora non esiste un uomo che possa
partorire. Il meglio della vita di un uomo è dedicato alla felicità di una o
più donne.
Che sia nonna, mamma, zia, moglie,
figlia, cugina, nipote o una semplice amica, la donna è il fulcro della leva
umana.
Il cosmo della mia tragedia è
popolato per il 70% da donne.
All'inizio è nato il comitato “Una
Chance per Chico”, formato dagli amici più cari della mia gioventù. Ne è
seguito il primo gruppo su FB dietro iniziativa di Alberto e l'energia di
Andrea che rimangono bastioni di questa fortezza sociale.
Di lì come un tornado in un
villaggio di paglia siete subentrate voi donne. Nuovi gruppi, alle iniziative
spontanee, migliaia di interventi, innumerevoli lettere e messaggi di supporto.
Mi sono sentito come il cucciolo di una leonessa o meglio, di un gruppo di
leonesse.
Non voglio, né posso, fare nomi,
perché l'idea di dimenticare di nominare anche solo una di voi mi romperebbe il
cuore.
Non è facile gestire un gruppo di
migliaia di persone. Ditte importanti con centinaia di impiegati, lautamente
retribuiti, ce la fanno a stento.
Eppure voi donne vi siete
trasformate in scudo, vi siete prese il posto dei soldati caduti al mio fianco.
Autonomamente vi siete distribuite incarichi e oneri. Spesso dimenticando i
vostri stessi problemi di salute, economici o affettivi che siano. Nonostante i
travagli della vostra vita quotidiana comunque avete trovato tempo da dedicare alla
mia causa. Tutto ciò mi riempie il cuore e a volte mi fa venire le lacrime agli
occhi. Lacrime colme di felicità, non di tristezza! Spesso mi domando che cosa
ho fatto per meritarmi tanto affetto, tanta solidarietà. Inevitabile, dentro di
me, è un'altalena di sentimenti: dalla rabbia per ciò che ho subito e per tutto
ciò che mi è stato tolto, alla gioia d'aver scoperto tante sostenitrici che,
anche senza avermi conosciuto, hanno deciso di dedicarmi una piccola parte del
loro cuore.
Voglio darvi un breve aggiornamento
su come prosegue la vita qui dentro. Cinque parole: SEMPRE SUL CHI VA LA'! Non
si può mai abbassare la guardia.
A proposito di guardie, quelle
decenti le posso contare sulle dita di una mano! La maggior parte degli
“aguzzini” trovano soddisfazione trasferendo le loro miserie quotidiane su di
noi. Il loro lavoro dovrebbe consistere nel salvaguardare la nostra incolumità
e nel prevenire e bloccare eventuali fughe. Sono mosche bianche coloro che
hanno a cuore la riabilitazione dei reclusi.
Dipendiamo dai “moods” (umori) delle
loro giornate. Non hanno potuto comperarsi l'orologio di marca? Quindi, per
ripicca, il giorno dopo scelgono uno a caso e gli fanno pulire la strada con lo
spazzolino da denti. Pochi giorni fa un capitano che lavora il turno dalle 16 a
mezzanotte (un ex giocatore di football del team Oakland Raiders, California),
ha punito un detenuto per aver parlato nella mensa (aveva detto alla guardia
che era finito il sale...). La punizione? Gli ha fatto gettare il vassoio, con
esclusione del cucchiaio e bicchiere di plastica e poi lo ha obbligato a
raccogliere l'acqua sporca nella pozzanghera antistante la mensa usando il
cucchiaio, per poi trasferire il contenuto nel bicchiere che, una volta pieno,
veniva svuotato.
“I'll
tell you when to stop and if you look at me again with that face I'll spit in
your mouth!” che tradotto: ”Te lo
dico io quando smettere e se mi guardi con quell'espressione ancora una volta
ti sputo in bocca!”
Grande uomo, grande esempio come
leader! Probabilmente tutte le botte ricevute alla testa 20 o 30 anni fa, gli
hanno spappolato una parte del cervello. E poi grida sempre, anche quando non
ne esiste motivo. Questo è solo il racconto di un piccolo aneddoto di vita
quotidiana e non lo dedico certo alle mie fan!
Dall'ultima lettera che vi ho
scritto ci sono stati vari cambi di cella. Tutto fa parte del processo
“rendiamo loro la vita impossibile creando tanto sconforto ed ostacolando il
processo di adattamento”. Qui con me c'è anche un detenuto di 86 anni e anche
lui riceve lo stesso trattamento, una vergogna! Eppure non possiamo fare nulla
(tanto meno voi) perché per coloro che si ribellanop, anche solo vociferando il
loro malcontento, la rappresaglia è implacabile.
Io cerco di viaggiare sotto il
radar. Purtroppo sono alto e mi ricordo una frase di mio padre: “Gli alberi più
alti sono quelli che vengono tagliati per primi”.
Se comunque mi venisse proposto cucchiaio e bicchiere vicino alla
pozzanghera, sappiate che mi troverete nel pozzo! Va bene eseguire gli ordini
normali, ma accettare umiliazioni degradanti non è nel mio stile. La loro
punizione, dopotutto, è autoinflitta. Solo una persona miseramente infelice può
comportarsi così.
Il rimedio più diffuso è la
conversione alla religione, per la maggior parte cristiana. Un po' come al
tempo di Nerone, senza leoni. E' il mezzo prescelto dai detenuti per cercare di
riuscire a mantenere un minimo di dignità. Nella disperazione, quando si è
perso tutto e più in basso di così non si può scendere... si è obbligati a guardare
verso l'alto.
Anche qui ci sono i sinceri e gli
impostori. Quando entri in un gruppo di preghiera troverai sempre un'anima
buona che ti darà qualcosa da mangiare, del dentifricio, del sapone, del
deodorante. Qualcuno invece ne approfitterà sempre.
Il rapporto con la religione è come
quello con una fidanzata. Alti e bassi e tanti monologhi invece di battibecchi.
Molti ricadono e tornano ad essere come, e peggio di prima.
Ho avuto vari compagni di cella, più
o meno decenti. Comunque devi condividere la cella/cuccia senza mancare o farsi
mancare di rispetto! La sentenza media dei miei compagni di cella è il doppio
ergastolo (“la doppietta”). Quello con cui ho vissuto più a lungo ed il
migliore sotto ogni aspetto dopo “C” è Daniel Arroyo, detto Tito (da
“Danielito”), quarantenne portoricano, doppietta, undici anni di prigione, otto
anni in questo albergo.
Un passato tremendo e da quattro
anni conversione totale. Da quel giorno cioè in cui decise di togliersi la
vita, perché schifato di se stesso. Ma una molla è scattata dentro il suo cuore
e ha cominciato a piangere. Solo due giorni dopo, con un peso in meno sulla
coscienza ed una nuova disposizione: “La mia vita l'ho bruciata, almeno posso
tentare di salvare qualcun altro!”
Ogni mattina, se la ricreazione è
aperta, va ad ascoltare un gruppo di preghiera. Ogni pomeriggio predica la
parola della Bibbia a un suo gruppo di fedeli, circa venti persone, per la
maggior parte centroamericani.
Nel mio piccolo lo aiuto, un piccolo
contributo, qualche minestra liofilizzata, deodorante e sapone. Non è molto,
però quel poco lo faccio con il cuore, non per imposizione. L'ho aiutato a
scegliere il nome per il gruppo, visto che si raccolgono sotto l'unico albero
dell'area di ricreazione sportiva: “Ministry under the tree” ovvero ministero
sotto l'albero (che fantasia però?!).
Lo scorso novembre mi è stato
chiesto di lavorare per un nuovo programma di riabilitazione chiamato
“Re-entry” (rientrata) e da allora mi ci sono dedicato a capofitto, anche
grazie all'aiuto di Roberto Fodde (che ha fatto una donazione essenziale per la
sopravvivenza del programma). Credo nell'utilità di preparare i detenuti, con
pochi anni da scontare, al loro rientro in società. Alcuni di loro, reclusi da
trent'anni, appartengono alla preistoria dei Gadgets Eleticon. Itengo lezioni a
quattro classi, strutturandole e coordinandole. Insegno a leggere e scrivere,
inglese, matematica e cultura generale. Questo mio progetto è stato approvato
dall'amministrazione. Si tratta di dare un'infarinatura di geografia, storia,
scienza, fisica, ecc. Cosicché una volta libero, l'ex detenuto sarà in grado di
rispondere alle semplici ma inevitabili domande dei figli e nipoti.
“Perché
il cielo è blu?”, “Perché la terra è rotonda?”, “Perché c'è pioggia, vento,
neve?” o “Quanti sono i Continenti?” (la maggior parte dei centroamericani
pensa siano cinque!). Domande che al momento non troverebbero risposta!
Da circa due settimane sono stato
trasferito nuovamente nel dormitorio Alfa (ricordate? Lo stesso di quando ero arrivato
circa due anni fa). Hanno trasformato l'intero edificio in “Re-entry dormitory”
(certo che anche loro in quanto a fantasia per i nomi...!). Siamo nell'area
sud, quella di minima custodia. Quasi tutti i residenti sono Acca 1 e 2. Io
sono una delle poche eccezioni, pur essendo Acca 4 (massima custodia). Ho
ricevuto un permesso speciale per risiedere in questa zona.
Ironico il fatto che, vedendomi da
questo lato della recinzione, molti degli ex colleghi della zona nord sono
convinti che presto sarò libero! Speriamo che questa loro convinzione serva
d'auspicio!
Come vi avevo spiegato tempo
addietro, in questo dormitorio ci sono pro e contro.
Non siamo chiusi in una cuccia senza
ventilazione dodici ore al giorno. Abbiamo le finestre (ovviamente con sbarre)
che ci permettono di vedere il mondo esterno limitrofo senza avere il
coprifuoco “dell'oscurità”. Siamo vicini alla mensa per la colazione. Alle
cinque di mattina è bello vedere le stelle e la luna! (queste ve le dedico!).
Per lo stesso motivo vediamo tramontare il sole alla sera. Anche se d'estate,
con il tramonto dopo le 20, il problema è inesistente. Al massimo alle 19 viene
servito l'intero “compound” (per tutti i detenuti, sia sud che nord).
Gli svantaggi sono i gabinetti e
docce comuni. Il problema dello stupro rimane uno dei cancri principali delle
prigioni americane. E' per questo che devi essere sempre attento e in forma
fisica. Se qualche osso duole o qualche
legamento è fuori uso, non farlo sapere!
E' come essere all'interno di una
caserma militare.
La notte, se uno russa o ha un
attacco di flatulenza (non voglio usare la parola scorreggia...) lo sente
l'intera camerata. Le risse non si limitano a due persone che risolvono il
problema nella cuccia di nascosto dal controllo delle guardie come nel lato
nord. Qui, di solito degenerano, subentrano gli amici degli amici; non è raro
che coinvolgano una dozzina di aspiranti “benvenuti” (Nino, per coloro con meno
di trentanni!). Lentamente mi sto riadattando, però non voglio farmi troppe
illusioni perché si tratta di un permesso temporaneo. E, se il programma
fallisce o la carrozza si trasforma in zucca un'altra volta... quindi cauto
entusiasmo!
Sono in un letto a castello e sopra
di me c'è un cubano di nome Santos (accertato, non è di origine brasiliana!)
che finisce di scontare la condanna l'anno prossimo. I cubani non subiscono la
deportazione (per via di Castro...). Purtroppo gli italiani non possono avere
le stesse agevolazioni prendendo come pretesto Berlusconi... Mi hanno detto che
il mio ex primo ministro ha un grande senso dell'umorismo. Speriamo che sia
così altrimenti fra tre secoli sarò ancora qui a scrivervi!!! Santos, dicevo, conosce soltanto
duecento parole d'inglese e gliele ho insegnate tutte io. So che non sembra una
grande impresa però non sa leggere e scrivere neppure nella sua lingua madre!
Gli “studenti” detenuti devono
obbligatoriamente partecipare ad un minimo di scuola. E' meglio per loro
scegliere un paio di lezioni poco impegnative perché l'apprendimento non è il
loro target. Altrimenti vengono assegnate d'obbligo. Normalmente tutti
“appartengono” ad un classificatore indipendentemente dall'ultimo numero della
nostra scheda di identificazione. Il mio è il 5, quindi appartengo al gruppo
#5. Ci sono solo sette classificatori/ici perché alcuni controllano due gruppi.
Con la formazione di questo nuovo
dormitorio è stato creato un nuovo gruppo: il numero 9.
La mia precedente classificatrice
adesso è anche responsabile di questo nuovo gruppo. Gestisce da sola oltre
cinquecento detenuti e le loro pratiche burocratiche: visite, richieste,
problemi, ecc. Un'enorme mole di lavoro! E' partita dalla gavetta come guardia
quasi tre decadi fa. Questa
lettera è dedicata alle “mie” donne, quindi anche a lei! Non è una donna facile
(comprensibile considerando l'ambiente lavorativo) ed è abituata a comandare, a
dare ordini a tutti, compresi i suoi superiori. Ha tre regole fondamentali: 1)
Ha sempre ragione; 2) Non ha mai torto; 3) Fare riferimento alle prime due.
Nero su bianco. Queste regole sono appese sul muro dello stanzino che usiamo
per preparare le lezioni. Mai dimenticarsene. I trasgressori vengono eliminati
come Kleenex (trasferiti ad altri lavori più umili, s'intende!...).
Lavorando nel programma, giorno dopo
giorno, senza riposo, ho contribuito con consigli, alla strutturazione delle
classi e alla stesura dei curriculum per le lezioni, raggiungendo a poco a poco
una certa autonomia e maggiore responsabilità, evitando conflitti con le tre
regole preposte.
Dopo il trasloco di oltre cento
detenuti, era necessario un discorso di orientamento. Chi più qualificato della
nostra imperterrita “leader”?... Un discorso da duce ad un gruppo di criminali
con la “C” maiuscola. Io, seduto tra i partecipanti, mi sono reso contro del
nervosismo e malcontento che stava nascendo. Molti dei trasferiti avevano perso
lavori privilegiati, anche al di là della recinzione, con compenso economico
(legale o meno che fosse). Troppa tensione nell'aria, fino al culmine quando la
“capa” ha detto loro: “So che molti di voi non vogliono essere parte di questo
nuovo programma perché comporta troppi cambiamenti. Per questi ho un messaggio
preciso: “Se rifiutate vi metto nel pozzo e vi tolgo tutto il “Gain Time”
(giorni di riduzione della pena) accumulato!”.
Per alcuni significava cinque anni
di ulteriore incarcerazione e la reazione fu immediata e violenta! Nello
stanzone c'erano solo lei e un'altra guardia, una ragazza di 25 anni. Di fronte
a loro, un gruppo di detenuti esagitati e io mi sono spaventato ricordando un episodio
di qualche mese prima (ero ancora nel dormitorio foxtrot, la lettera “F”)
quando un apparentemente tranquillo sudamericano ha accoltellato più volte un
americano di colore, uccidendolo. Il tutto era nato dalla mancata precedenza
nell'uso della doccia. Tagli così profondi che nell'arco di pochi minuti,
l'americano morì dissanguato. Una vita bruciata per una banale lite per una
pseudo doccia dove l'acqua cade a gocce.
Una situazione che mi ha fatto
riflettere su quanto fragile sia la vita, specie qui dentro.
Da quel giorno, ogni mattina
ringrazio il Signore per avermi fatto svegliare incolume, e ogni notte prima di
addormentarmi, mando un messaggio e un bacio virtuale ai miei figli, ai miei
familiari e a tutti voi mie care amiche e amici
Facevo la stessa cosa quando
preparavo i miei bagagli prima di un volo aereo o il mio materiale per
un'impresa rischiosa. Applicavo lo stesso principio: essere pronti a qualsiasi
evenienza!
Nei miei 40 anni di competizioni
raramente ho pensato alla morte come conseguenza. Mi sentivo invulnerabile.
Adesso, incarcerato, qualche volta nel sonno ricevo la visita di una tizia con
cappa nera e falce. Per chi interpreta i sogni si tratta di un avvertimento.
Per me è solo una poveraccia con costume
carnevalesco che, fuori stagione, va a disturbare i sogni della gente.
Ritornando ai colleghi infuriati
(con la “doccia” in mente), decisi di intervenire per mitigare il malcontento,
dicendo loro: “Ascoltate, non ci sono solo i lati negativi, ma anche molto
benefici...” e continuando per circa cinque minuti ho notato che gli animi si
erano un po' calmati, eccetto però quello della mia “capa”, per nulla contenta
della mia interferenza, anche se a buon fine. Ero sì riuscito a eliminare la
tensione ma allo stesso tempo avevo rotto le regole, l'avevo cioè esautorata
dicendo ai miei colleghi che le sue frasi non erano del tutto “negative”.
Dopo aver congedato il gruppo, la
“donna coi pantaloni” mi prese da parte e mi disse: “Faccio questo lavoro da
sempre e nessuno ha mai osato contrariarmi. Il tuo comportamento è stato
inaccettabile. Sei sospeso per cinque giorni!”. Ho preso così, per la prima
volta in sei mesi, qualche giorno di “vacanza”. Adesso sono tornato a lavorare
con un po' meno fervore e meno entusiasmo. Mi sono reso conto ancora una volta
che non vale la pena di cercare di essere d'aiuto come è nel mio carattere. Il
modo di vedere di questa gente è ristretto, programmato e ripetitivo ed è
vietato variare.
Il motto del posto è “a good deed
never goes unpunished” (un “fioretto” non rimane impunito).
Ne ho avuto un'altra riprova qualche giorno
dopo. René, un mio collaboratore della “facility” che insegna con me matematica
(se ne va a casa in ottobre) questo venerdì decise di fare una sorpresa alla
nostra “duce”. Raccolse gli esami di valutazione espletati nel pomeriggio e,
senza dirle nulla, decise di correggerli durante il fine settimana nel suo
“tempo libero” nel dormitorio. Gli ho detto: “René, ho un cattivo
presentimento. Non credo che lo apprezzerà per il solo fatto che non ti ha dato
l'autorizzazione. Non credo capirà il tuo bel gesto”. E infatti il lunedì
successivo, al nostro rientro, venuta al corrente del fatto, la “capa” ha
dismesso dall'incarico René in malo modo e gli ha cambiato il lavoro! Alla
faccia dell'incredibile motto... rimango positivo. “Anche questa passerà!”,
“Vattene tristezza!” (com'era la canzone? “Tristezza, per favore va' via...”).
Vi svelo un segreto: non ho mai
presenziato ad un funerale! Quando è morta mia nonna paterna (la mamma di mio
papà e di mio zio Gianni) ero in Sicilia. Quando è morto mio padre ero in una
prigione di massima sicurezza delle Everglades.
Quanto amo la vita! Una parentesi
rosa è di rito. Sono pochi a sapere che i miei tre figli sono nati senza
assistenza medica. La prima volta successe involontariamente con Savannah Sky.
Ci fu un disguido nel calcolo delle contrazioni. Risultato: Savannah è nata nel
bagno di casa, così velocemente che le sue vie respiratorie erano bloccate dal
liquido amniotico e dai vari fluidi di percorso. Ovviamente andai in grande
panico, e nonostante fossi ignorante della prassi post-nascita, decisi
improvvisando, d'aspirare i fluidi accumulati coprendole naso e bocca con la
mia bocca. Ho aspirato un bel po' di liquido senza danneggiarle i polmoni (come
succede se lo si fa troppo violentemente). Dopo aver ripetuto l'operazione un
paio di volte il viso di Savannah da cianotico ed inerme si trasformò, riprese
colore e cominciò a piangere: bellissima! Il pianto e gli strilli più preziosi
della mia vita. Savannah adesso ha 17 anni, anche lei donna, e anche a lei è
dedicata questa lettera.
Due anni dopo è stata la volta di
Jenna Bleu. In questa occasione ci recammo all'ospedale viste le pressioni del
nostro medico: “Pensate alle possibili complicazioni” ripeteva.
A sorpresa una nostra vicina ebrea
ci prenotò la stessa stanza usata da Gloria Estefan (forse con l'augurio di
avere una bambina musicista) all'ospedale Mount Sinai, prediletto dalla
comunità ebraica di Miami.
Nonostante le buone intenzioni, nel
momento cruciale decidemmo di ripetere l'exploit di Savannah. Chiesi
all'infermiera di turno che ci vigilava severamente (per via dei precedenti),
di farci avere un paio di asciugamani che sapevo essere situati al piano
inferiore. Al suo ritorno Jenna Bleu con le labbra protuse le diede il
benvenuto... a squarciagola.
Anche lei nata super velocemente e,
cosa molto rara, ancora con il sacco amniotico intatto, quasi fosse
impacchettata in un sottilissimo materiale monofilm. Ho scoperto
successivamente che sia nelle tribù dell'Amazzonia che nell'interno
dell'America è considerato un segno di distinzione, per riconoscere il futuro
“Medicine man/woman” (stregone) del villaggio. Anche a lei, adesso quindicenne,
dedico questa mia.
Due anni dopo, Francesco Luce! Ormai
al bando ospedali e medici liocali, decidemmo di rimanere a casa con l'aiuto di
una levatrice per eventuali complicazioni e, ancora una volta, niente monitor,
niente flebo, guanti freddi o mani sconosciute. All'arrivo di Francesco,
Savannah e Jenna erano a bocca aperta appoggiate allo stipite della porta della
camera da letto, la levatrice in cucina a mangiarsi un panino al prosciutto di
Parma (!). Si rivelò comunque di grande aiuto perché Francesco aveva il cordone
ombelicale attorno al collo e poi, invece della mia spartana tecnica
d'aspirazione, mi diede una dimostrazione della cannula nel naso, mentre lo
tenevo per i piedi a testa in giù.
Stesso risultato, minimo rischio.
Morale della storia, i miei tre
figli, come tutti i buoni prodotti italiani, sono “fatti in casa” con una mia
piccola partecipazione e ovviamente con la parte di leonessa di mamma Heather.
Pur essendomi inevitabilmente separato, rimango con lei in buoni rapporti.
Heather si è rifatta una vita mantenendo però la mia posizione di padre nella
vita dei miei figli. Per questo le sarò sempre riconoscente. Questa lettera è
dedicata anche a lei come madre e come donna!
Ecco, vi ho trasportato da un lato
all'altro del pianeta Chico, senza ordine cronologico.
Avevo da recuperare dopo tanto silenzio.
Ancora una volta un caloroso grazie a voi, “mie” meravigliose donne. Grazie per
essere le mie leonesse!
Per concludere in questa giornata
della mamma, un saluto a tutte le mamme, inclusa la mia, la roccia della mia
vita, un esempio di dignità umana. Questa lettera è dedicata anche a lei per
avermi creato, per avermi forgiato nell'uomo che sono, per avermi insegnato a
tenere la testa alta e ad essere forte anche nelle situazioni impossibili!
Insieme ce la faremo, ne sono certo!
Alla prossima, un caldo abbraccio.
Chico
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